«Vecchio sarai tu» Perché l’invecchiamento è una grande opportunità economica

Se pensate che a 65 anni si è vecchi, inutili e da buttare via, vi state sbagliando. E parecchio. Per rendervene conto vi basterà leggere il libro “Immortali – Economia per nuovi highlander”(Egea), di Nicola Palmarini, Aging & Longevity lead e program manager presso l’MIT-IBM Watson AI lab di Boston.
Nelle 210 pagine, piene zeppe di dati, numeri, analisi scientifiche, sociali, biomediche, storiche, antropologiche e statistiche, Palmarini dimostra, passo per passo, come gli over 65 siano non solo i consumatori del futuro, quelli con una capacità di spesa mai registrata prima, ma rappresentino addirittura uno dei (pochi) motori di crescita dell’economia globale.

Non è matto Palmarini, è un visionario, un provocatore e lo fa dal suo osservatorio privilegiato di Cambridge, culla della ricerca bio-medica e delle cosiddette Geroscienze, oggi potenziate dall’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale che suggerisce una accelerazione esponenziale della nostra capacità di rispondere ad alcune domande chiave sul mistero della vita e della sua durata in salute. Il suo punto di partenza è questo: «Non abbiamo ancora capito che cosa significhi davvero invecchiare. Anzi, continuiamo a vedere l’invecchiamento come un problema per gli individui che invecchiano e una minaccia per le società che devono sostenere l’aumento dei costi sanitari connessi e i relativi sistemi pensionistici». Ma non solo. Continuiamo, erroneamente, a considerarli solo come «esseri bisognosi» a cui vendere esclusivamente scale automatizzate, calzascarpe allungabili, scaldapiedi e termocoperte, paste incollanti per dentiere.

«Non ci siamo ancora accorti che, invece, vogliono amare, scoprire, fare sesso, viaggiare, lavorare?». Oggi invecchiare non significa necessariamente accumulare malattia e sofferenza, in un viaggio verso una destinazione certa (la morte). «Grazie alla rivoluzione tecnologico-scientifico-digitale – sottolinea Palmarini – possiamo vivere tutti in condizioni di buona salute e più a lungo». Un dato su tutti: oggi in Italia possiamo vivere in media fino agli 83 anni, con un’aspettativa di vita media di 93 anni nel 2100. Lo stesso vale per gli altri paesi: nel 2050 l’aspettativa di vita alla nascita è stimata (United Nations, «World Population Aging 2015», www.un.org) superare gli 80 anni in Europa, America Latina e America Centrale, Nord America e Oceania e si avvicinerà agli 80 anni in Asia e ai 70 anni in Africa. «Questo perché l’aspettativa di vita globale cresce a un ritmo velocissimo: negli ultimi 50 anni abbiamo “guadagnato” due anni di vita per ogni decade senza sostanzialmente fare null’altro che…vivere».

Eppure, spiega ancora Palmarini, «tutti questi stereotipi (che ci fanno pensare agli ultra-sessantacinquenni come a voraci consumatori di energie, di risorse, di tempo, di servizi, intenti a guardare i cantieri, in coda per un’offerta al supermercato), e che sono radicati nelle pieghe della burocrazia, nelle statistiche,nei media,  non trovano fondamenta in quello che accade attorno a noi, nelle strade delle città, nei numerosi canali tematici di Instagram dedicati alle granny dai capelli bianchi». (Si veda l’hashtag #grannyhair).

Palmarini cita due casi emblematici: sapete chi, nel 2018, ha speso più su dispositivi Apple di qualsiasi altro gruppo demografico negli Stati Uniti? (https://money.cnn.com/2015/10/29/technology/apple-customers/index.html) Gli uomini di 65 anni e più (sfatando l’altro falso mito dell’ignoranza digitale dei senior). E ora, «indovinate l’età media dei 600 clienti di Virgin Galactic che -a colpi di 250.000 dollari a biglietto- si sono accaparrati un posto per un giretto nello spazio?».

Se pensate poi che un vecchio sia lento, non capisca nulla e sia senza cervello, vi sbagliate ancora di più. «Andate a dare un’occhiata ai brevetti rilasciati negli ultimi dieci anni vi renderete conto che la maggior parte è stata pubblicata da persone tra i 45 e i 65 anni». Sono forse proprio loro, quelli nati tra nati tra il 1946 e il 1964 (i cosiddetti Baby Boomer), quelli che hanno inventato Internet, il GPS, lo smartphone, l’intelligenza artificiale, i bitcoin, le auto a guida autonoma, che hanno mandato l’uomo sulla Luna, che stanno dando battaglia al cancro e progettando il computer quantico e promettendo di sconfiggere la morte.
 Provate voi a definire “vecchia” Christine Lagarde, presidente del Fondo monetario internazionale e futuro presidente della BCE, la quale, pochi mesi fa https://www.elle.fr/Elle-Active/Christine-Lagarde-Ne-renoncez-jamais-a-vos-ambitions-3785826, riferendosi a se stessa, aveva detto «Si può essere nonna, avere 63 anni e i capelli fieramente bianchi, e fare ancora faville a letto». Chapeau.

Comunque, dice Palmarini, non consideriamo solo la loro elevata capacità di spesa (che comunque, secondo il McKinsey Global Institute potrebbe generare almeno la metà della crescita di tutti i consumi urbani tra il 2015 e il 2030), analizziamo anche il tempo a disposizione: secondo uno studio di Merrill Lynch nei prossimi due decenni, il pensionamento dei Baby Boomer donerà circa 58 milioni di ore di volontariato, creando 1,4 trilioni di dollari di valore.

«Appare evidente, quindi, quali siano i consumatori su cui puntare nel futuro», dice convinto l’esperto dell’MIT-IBM. «Sono proprio loro, gli over 65: la popolazione più ricca in assoluto sia in termini di tempo che di denaro». Protagonisti assoluti di quella «quarta economia», così come la definiscono Bradley Schurman e Lilian Myers, che avevamo completamente rinnegato, così impegnati nella lotta anti aging.

I brand se ne sono accorti? Pare di no. Il messaggio che riceviamo ogni giorno è quello di salvarci dal diventare vecchi. «Oggi meno del 15 per cento delle aziende ha messo a fuoco delle strategie di business per quella fascia d’età che continuiamo a identificare come una massa bisognosa di qualcosa anziché desiderosa di qualcosa». Ma non solo- aggiunge Palmarini- continuano a lottare per accaparrarsi clienti nella fascia d’età 18-34, ignorando del tutto le richieste di una popolazione che ha una potenzialità immensa: secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2050 il 9,3 % della popolazione mondiale avrà più di 65 anni (stiamo parlando di 2,1 miliardi di persone) e nel 2100 gli ultraottantenni saranno sette volte il valore di oggi.

Nell’ultimo anno qualcosa è cambiato nelle strategie di marketing. Seppure timidamente, qualche brand più evoluto, attento (ed esposto) al tema, ha cercato di ridare dignità alla parola “età”. Qualche tempo fa, sottolinea Palmarini, la rivista Allure www.allure.com ha iniziato, per prima, a opporsi al trend cosiddetto anti-aging, spingendo le case di beauty e moda a riconsiderare la classificazione di questi prodotti. E così, mentre L’Oréal Paris lanciava una linea «Age Perfect», Vichy rispondeva a botte di «Slow Age».

Perciò, conclude, «non dobbiamo lottare contro l’invecchiamento solo perché «è bene farlo», perché è politicamente corretto o semplicemente perché tutti, da qualche parte, abbiamo una madre o un nonno da amare e curare. Dobbiamo farlo perché che l’invecchiamento globale della popolazione è una delle sfide più importanti che l’umanità si trova ad affrontare. E l’ignoranza sui cambiamenti in corso rappresenta uno dei principali freni a un possibile rinascimento economico».