“È meglio prevenire, signora. Lei ha già avuto due tumori. Pensiamo sia più saggio, per il suo bene, procedere con una mastectomia preventiva“. Le parole dell’oncologo sono state chiare. Così Daniela, una donna di 48 anni, si è convinta a tornare sotto i ferri per farsi asportare entrambi i seni. Il suo intervento era in programma per l’inizio di marzo in un ospedale specializzato di Milano. Ma è saltato, come molti altri, per la pandemia.
Oggi Daniela si sente sospesa, in folle, impigliata nel tempo. “Mi sono rassegnata. E aspetto. So che chi ha deciso di rimandare tutti gli interventi lo ha fatto a fin di bene: con questa brutta bestia in giro si rischiava di essere contagiati anche in ospedale”. Ma è dispiaciuta, a tratti amareggiata. “Non mi era stato facile decidere di sottopormi a mastectomia”, racconta. “Io sono portatrice di una modificazione genetica che mi predispone a un altissimo rischio di sviluppare una forma aggressiva di cancro al seno, ma nessuno dei molti oncologi e dei senologi che ho incontrato concordavano sul fatto che questa fosse la scelta giusta: l’asportazione delle mammelle non azzera del tutto il rischio, anche se lo riduce a circa il 5 per cento“.
Poi l’ultimo medico, un oncologo, le ha detto senza mezzi termini: “Signora, lei è un morto che cammina. Non tergiversi”. Così Daniela si è convinta. “Ho iniziato un profondo lavoro introspettivo, per provare a immaginare le conseguenze di questa scelta, non solo sulla mia salute, ma anche sul modo in cui mi sarei relazionata con il mio compagno e con gli altri”. Nella nostra cultura, dice, “il seno è presentato spesso come sinonimo di femminilità, e io su questo dovevo riflettere”.
La pandemia manda le carte all’aria
Poi, quando finalmente arriva il giorno dell’intervento, la pandemia manda le carte all’aria. “Ed è come se il destino, la fatalità o il caso, insomma l’imprevedibile, avessero scelto per me, ancora una volta”, racconta. Come accadde venti anni fa quando, a 28 anni, durante una visita di controllo, Daniela scoprì di avere un tumore all’utero e di aspettare un bambino. “Mi chiesero di scegliere se preferivo sottopormi a chemioterapia, o salvare quella vita che stava germogliando. Scelsi di curarmi, per veder crescere la figlia che avevo già, così interruppi la gravidanza. Il tumore usurpò il posto che era di mio figlio e profanò il mio sogno: mi tolsero non solo l’utero ma anche la possibilità di diventare di nuovo mamma”.
Daniela superò quel momento con fatica e pazienza. “Grazie al cielo ho avuto intorno delle persone che mi hanno sostenuto: non mi hanno detto nulla di extra-ordinario, né fatto niente di magico. Del resto forse certe emozioni, certi dolori, non sono nemmeno esorcizzabili, ma la loro presenza mi ha aiutata a tenere a bada la mia fragilità”.
Quasi quindici anni dopo, si ammala ancora: tumore osseo. Di nuovo chemioterapia e radioterapia. Altri controlli, altre visite. Poi la scoperta della mutazione dei geni Brca (1 e 2).
Non è vero che le difficoltà ti rendono più forte
“Questa volta, sottoponendomi a mastectomia preventiva, volevo giocare d’anticipo”, scherza. Daniela è una donna che ha attraversato le tenebre e oggi non ha bisogno di occultare o edulcorare nulla. “Dicono io sia resiliente perché ho la capacità di sostenere gli urti senza spezzarmi. Ma solo io so quanto amor proprio è servito in certi momenti”, confessa. “Non è vero che le difficoltà ti rendono più forte. Forse ti insegnano solo a mettere in ordine le cose che ti capitano e le persone che ti circondano”.
In queste settimane, mentre aspetta che gli ospedali riprendano regolarmente le attività, di notte, l’afferra la paura. “L’ansia è quella sensazione che scaturisce aspettandosi il peggio, senza che sia accaduto – spiega – la mia, invece, è proprio quel tipo di paura che ti fa accartocciare nel letto e ti morde il petto, perché so bene cosa si prova quando si teme di non poter soffiare le prossime candeline con la propria figlia”. In certi momenti, dice, “è come se ci fosse una risacca che butta fuori i ricordi dei periodi più duri”.
Daniela però non si abbatte: “Vivere in funzione di qualcosa di brutto non è il mio stile. A volte mi convinco che certe ferite siano scritte con l’inchiostro simpatico e se non le metti sotto la luce non le vedi“. L