Oggi sono già moltissimi i progetti che hanno richiesto l’impiego di ologrammi: dagli eventi aziendali alle lezioni in università, un modo per avere un’interazione più umana, più rilassante, più emozionante, e quindi più efficace ed evitare quell’effetto «Zoom fatigue» ormai dilagante
«Ci saranno ologrammi ovunque: in ogni videochiamata, in ogni webinar, in ogni lezione a distanza». Secondo Antonio Cerasa, neuroscienziato dell’Istituto per la Ricerca e l’innovazione Biomedica del CNR, «in un futuro non molto lontano saranno le nostre immagini tridimensionali a partecipare alle conversazioni e riunioni virtuali».
«Questo avrà dei vantaggi enormi», spiega lo scienziato. «L’olografia, infatti, non solo ci regalerà l’illusione della presenza nonostante i km di distanza – cosa che in parte già a riescono fare piattaforme come Zoom, Google Hangouts, Skype, FaceTime – ma ci consentirà di rappresentare la nostra figura fisica, attraverso le sue tre dimensioni, e di avere un’interazione più umana, più rilassante, più emozionante, e quindi più efficace, con il nostro pubblico».
In pratica, chiarisce Cerasa, «attraverso gli ologrammi mimeremo le nostre relazioni sociali, renderemo le conversazioni simili a quelle reali, arricchiremo il significato delle nostre parole, affiancheremo alla nostra voce anche la mimica facciale, la gestualità, l’espressività». Tutti questi elementi «che saranno finti ma non falsi», e che «lavoreranno sul coinvolgimento emozionale e sensoriale», aggiunge lo scienziato, «saranno importanti non solo perché renderanno (più) affascinante la nostra esperienza, ma anche perché attraverso questa fascinazione saranno in grado di catturare le nostra attenzione e ridurranno il rischio di annoiare e annoiarci».
La «Zoom fatigue» ci attanaglia
Oggi, sottolinea lo scienziato, è molto difficile rimanere concentrati guardando e ascoltando esclusivamente le immagini piatte che sembrano appese ai nostri schermi a due dimensioni. «Osservare e ascoltare delle talking heads – delle teste parlanti – non ci emoziona. Per questo con il trascorrere delle ore, aumenta la tentazione di cedere alle distrazioni», spiega Cerasa. «Se invece dobbiamo resistere a tutti i costi, il nostro cervello si impegna in una dura lotta, e alla fine ne usciamo stravolti».
E infatti, sono molte le persone che raccontano di arrivare a fine giornata completamente stremate e spossate dalla nuova routine imposta da webinar e videochiamate. Così tante che vari scienziati e studiosi hanno dovuto coniare un nuovo termine per descrivere questa sensazione: «Zoom fatigue», l’hanno chiamata. Letteralmente significa «affaticamento da Zoom», ma si applica anche alle videochiamate fatte con qualsiasi interfaccia.
Più distratti di un pesce rosso
La difficoltà a rimanere concentrati, però, non è (solo) un effetto collaterale della pandemia Covid-19. Uno studio del 2015 di Microsoft ha calcolato che la nostra soglia di attenzione è passata da dodici secondi (nel 2000) a otto secondi: in pratica, siamo più distratti di un pesce rosso, che è capace di concentrarsi per nove secondi.
«Solo che oggi», spiega Cerasa, «la nostra già precaria capacità di rimanere concentrati è aggravata dal continuo bombardamento di notifiche che arrivano da tutti i dispositivi elettronici. Queste interferenze rendono ancora più difficile l’esecuzione di alcuni lavori che richiedono lunghi periodi di attenzione sostenuta».
Inutile lavorare 4 ore di fila
Per questo motivo, chiarisce lo scienziato «dal punto di vista neurofisiologico è del tutto inutile, se non addirittura controproducente, cercare di rimanere concentrati per troppe ore consecutivamente: non solo perché il nostro cervello non ce la fa, ma anche perché quando la capacità di attenzione diminuisce per la stanchezza siamo più propensi a commettere errori».
Che senso ha, domanda Cerasa, restare fermi a fissare uno schermo (o un foglio o una macchina) se non riusciamo a rimanere concentrati e attenti? «Forse sarebbe meglio se imparassimo a parcellizzare il lavoro, così come le riunioni e le conversazioni online: funzioniamo meglio, cioè siamo più produttivi, più efficaci, più brillanti, se ci impegniamo per piccoli intervalli su alcuni “tasks” specifici». Cerasa lo spiega bene nel suo libro Expert Brain (FrancoAngeli), dedicato a quegli individui che hanno sviluppato una particolare abilità ed eccellono in essa, al punto che il loro cervello si è modellato di conseguenza (tra cui giocolieri, musicisti, scacchisti e chef).