In attesa di conversione del decreto legge sull’obbligo vaccinale, la confusione regna sovrana: chi ha davvero l’obbligo? E perché nell’interpretazione di molte regioni sono esclusi dall’obbligo OSA, ASA, addetti alle pulizie e alla mensa, che alla fin fine sono le persone più a contatto con gli anziani e i pazienti? E come procedere a indirizzare ad altra mansione gli operatori non vaccinati, se formalmente il datore di lavoro deve aspettare che sia l’Asl a comunicargli i nomi dei non vaccinati? La preoccupazione di RSA e RSD.
È una scena che abbiamo già visto. Il Governo ha previsto, ma non ancora stabilito, che la vaccinazione contro il SARS-CoV-2 costituisce un requisito essenziale per l’esercizio di alcune professioni ma non ha definito in maniera esaustiva e inequivocabile in che modo questo obbligo debba essere messo in pratica. Un po’ come quando aveva stabilito che i figli dei keyworker potessero frequentare in presenza, senza specificare chi fossero i keyworker. Infatti, mentre il decreto legge numero 44 del 1° aprile è all’esame del Senato e della Camera, restano da chiare alcuni punti, primo fra tutti quali professionisti devono essere vaccinati.
Chi ha l’obbligo di vaccinarsi
Sull’identificazione dei soggetti interessati dall’obbligo vaccinale la confusione regna sovrana. In base all’elenco presente sul sito del Ministero della Salute sembrerebbero essere tenuti all’obbligo di immunizzarsi molte categorie, tra cui medici, infermieri, fisioterapisti ed OSS (Operatori Socio Sanitari). Ma non gli OSA, cioè gli Operatori Socio Assistenziali: figure di carattere non infermieristico, prive di un ordine o albo professionale, che però nelle RSA e negli ospedali operano a diretto contatto con i degenti e residenti.
Sembrerebbero esclusi anche altri operatori – come gli addetti alle pulizie, alla distribuzione del cibo, alla manutenzione, ai triage o agli sportelli – che pure entrano nei reparti o sono a contatto con il pubblico. Il problema della mancata identificazione dei soggetti da vaccinare era stato sollevato qualche giorno fa sul Sole 24 ore da Paolo Pigni, Direttore Generale di Fondazione Sacra Famiglia: «Secondo le prime interpretazioni della legge da parte di alcune Regioni, gli ASA-Ausiliario Socio Assistenziale sarebbero esclusi dall’obbligo di vaccinarsi perché non sono operatori sanitari in senso stretto. Da me sono 800 su 2mila operatori, in Italia saranno più di 100mila». Eppure, aveva sottolineato Pigni, «gli ASA sono forse quelli più a contatto con i pazienti. L’obbligo dovrebbe valere per chiunque lavori in una struttura socio-sanitaria».
D’accordo con lui anche Franco Massi, presidente di Uneba, la principale associazione di categoria del settore sociosanitario, con circa mille aderenti: «Sembra che i legislatori non sappiano che coloro che si occupano dell’alimentazione e dell’igiene personale degli ospiti, così come della pulizia dei luoghi, sono più vicini agli anziani di medici ed infermieri», afferma. In questo senso, commenta categorico, «il legislatore manca totalmente di coerenza».
Sembra che i legislatori non sappiano che coloro che si occupano dell’alimentazione e dell’igiene personale degli ospiti, così come della pulizia dei luoghi, sono più vicini agli anziani di medici ed infermieriFranco Massi
Il 21 aprile Uneba, assieme alle altre associazioni di categoria del settore sociosanitario socioassistenziale Anaste, Aris e Agespi, aveva scritto a Governo e Parlamento chiedendo che l’obbligo vaccinale «non si applichi solo agli operatori di interesse sanitario» ma sia esteso anche ai «prestatori di lavoro dipendente od in regime di libera professione che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private».
«Questo problema era emerso anche nelle fasi iniziali della campagna vaccinale – sottolinea Fabrizio Giunco, responsabile del dipartimento cronicità della Fondazione Don Carlo Gnocchi – determinando interpretazioni difformi da parte di ATS/ASL e strutture sulle priorità vaccinali». Infatti, «alcune Direzioni avevano interpretato l’indicazione in modo estensivo, vaccinando tutti gli operatori che direttamente o indirettamente potevano avere contatto con degenti o pubblico; altre, in modo più selettivo o per le specifiche indicazioni ricevute, avevano vaccinato solo gli operatori dei reparti».
“Sei vaccinato?”: una domanda che il datore non può fare
Il secondo punto, non di poco conto, ha a che fare l’eterna difficoltà di garantire al tempo stesso la tutela della privacy e la protezione della salute. Nel suo recente intervento, Pasquale Stanzione, che dallo scorso luglio è il presidente dell’Autorità Garante della Privacy, aveva esplicitato chiaramente che «il datore di lavoro non può acquisire, neanche con il consenso del dipendente, i nominativi del personale vaccinato o la copia delle certificazioni vaccinali» (si veda il punto 1 delle FAQ).
Ma allora, come fa il datore di lavoro ad allontanare un dipendente no vax (destinandolo come previsto dalla normativa ad un’altra mansione o sospendendolo senza retribuzione) se non può sapere che è no vax? E come può garantire la protezione e la salute di tutti gli ospiti e degli operatori della RSA o della RSD?
«La legittima tutela della privacy – spiega ancora il responsabile della Fondazione Don Gnocchi – lega le mani ai responsabili di struttura che hanno però l’obbligo civile, penale e etico di garantire la sicurezza di pazienti e operatori». In teoria è l’azienda sanitaria locale competente che, accertata l’inosservanza dell’obbligo vaccinale, ne dà comunicazione al datore di lavoro e determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti personali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. Questo processo, però, è in parte fermo in attesa di chiarimenti dal Ministero.
La situazione che si crea, evidenzia Giunco, rappresenta «un empasse molto rischioso» per le direzioni delle strutture. «In questo momento – afferma – ci sono responsabili sanitari, che possono avere il ruolo di responsabili vaccinali e di dirigenti per la sicurezza ex d. lgs 81, che si trovano fra l’incudine e il martello: sanno chi non si è vaccinato (possono anche avere gestito le vaccinazioni); rispondono civilmente e penalmente delle possibili conseguenze; ma non possono fare nulla».
In questo momento ci sono responsabili sanitari che si trovano fra l’incudine e il martello: sanno chi non si è vaccinato perché hanno gestito le vaccinazioni; rispondono civilmente e penalmente delle possibili conseguenze; ma non possono fare nulla.Fabrizio Giunco
Per superare queste difficoltà, spiega Massi di Uneba, «in molte RSA e strutture residenziali per persone con disabilità il medico del lavoro ha inserito nel programma di sorveglianza sanitaria della propria struttura l’obbligatorietà del vaccino a tutela degli ospiti e degli operatori. Perciò se un dipendente non si immunizza, il medico aziendale può renderlo “Non idoneo”, come quando ha una qualsiasi patologia temporanea o permanente, senza comunicare all’azienda quale sia il motivo. Solo a questo punto il dipendente può essere sospeso dall’esercizio della sua funzione». Certo, ammette Massi, «si tratta di un escamotage. Ma di fronte alla mancanza di chiarezza del legislatore e alla legittima tutela della privacy non si poteva fare diversamente». Il problema però non è comunque del tutto superato. Giunco, infatti, spiega che per le regole della Medicina del lavoro, «alcuni medici competenti ritengono di non poter convocare autonomamente a visita il dipendente, ma solo operare secondo il normale calendario prefissato di visite periodiche, oppure attendere che sia il dipendente a richiedere una visita di aggiornamento». Quindi siamo punto a capo.
Foto di © Daiano Cristini/Sintesi: la stanza degli abbracci del residence per anziani ‘Camilla Sernini’ a Cortona.