Adolescenti transgender, a cosa servono gli ormoni e i farmaci?

non c’è un’epidemia sociale; e i criteri per la prescrivibilità di queste terapie sono molto rigidi”. Lo spiegano bene le maggiori esperte in questo ambito: la psicoterapeuta Jiska Ristori e l’endocrinologa Alessandra Fisher. Entrambe le dottoresse lavorano all’ospedale Careggi di Firenze e hanno alle spalle una lunga esperienza con i minori gender variant (o transgender) 

Dottoressa Fisher, ci può spiegare cosa sono i bloccanti ipotalamici?
“La triptorelina è un GnRH analogo, ovvero una molecola che agisce sul sistema endocrino e sospende l’arrivo della pubertà. Così come gli altri farmaci bloccanti, serve per fermare -momentaneamente- la secrezione delle gonadotoprine e degli ormoni sessuali, e per ritardare dunque l’arrivo della pubertà e dei cambiamenti fisici che essa comporta. In pratica, questi farmaci non modificano il genere e non modificano il corpo: mettono la pubertà in stand-by e offrono a questi giovani una finestra psicologica più lunga in cui continuare a riflettere più serenamente rispetto alla propria’identità”.

Nel concreto, questa terapia che cosa comporta?
“Negli adolescenti assegnati femmine alla nascita la triptorelina interrompe o previene l’arrivo delle mestruazioni e la crescita del seno. Mentre nelle ragazze trans (assegnati maschi alla nascita) ferma la crescita dei peli, lo sviluppo dei testicoli e provoca l’abbassamento della voce”.

E’ una terapia sicura?
“La terapia è usata in Europa dagli anni Settanta a partire dall’esperienza del VU- University Medical Center di Amsterdam. In Italia è stata raccomandata dall’Aifa e approvata Comitato Nazionale di Bioetica, oltre che dalle principali società scientifiche italiane (come SIAMS-SIE-SIEDP e SIGIS). Poiché questi farmaci sono in uso da trent’anni, disponiamo di un notevole numero di ricerche che ne documentano i limitati effetti collaterali. Inoltre, gli analoghi del GnRH sono farmaci ampiamente studiati ed utilizzati per il trattamento dei bambini con pubertà precoce, pertanto in una fascia di età inferiore rispetto agli adolescenti con incongruenza di genere”.

C’è un età minima per iniziare la terapia con i bloccanti?
“Non è l’età ad essere un criterio per poter accedere al trattamento, bensì l’aver raggiunto uno stadio puberale Tanner 2: è necessario, cioè, che la pubertà sia già iniziata. Inoltre, è necessario che l’adolescente dimostri una maturità cognitiva tale da essere consapevole degli effetti del trattamento”.

Qual è l’iter?
“I farmaci vengono somministrati in seguito a esplicita richiesta della famiglia e del minorenne, dopo un’approfondita valutazione diagnostica e osservazione clinica da parte dell’équipe psicologica, dell’equipe medica e dopo l’acquisizione del consenso informato firmato da entrambi i genitori e di assenso/consenso del o della minorenne”.

Non sembra una cosa facile. Vi capita frequentemente di dare il via libera alla somministrazione di questi farmaci?
“Negli ultimi 5 anni abbiamo preso in carico 80 minori gender variant ma abbiamo prescritto bloccanti ipotalamici solo in circa 40 adolescenti. Mai nei bambini, come indicato dalle linee guida internazionali. Tenete presente, comunque, che non tutti i giovani che si rivolgono a noi presentano una disforia di genere”.

Quanti sono i minori che soffrono di Disforia di Genere in Italia?
“Non lo sa nessuno con precisione, perché non sono stati avviati studi formali sulla numerosità del fenomeno né da noi, né in Europa. Secondo uno studio olandese ormai datato, del 2013 (Steensma) si tratterebbe di una condizione rara e complessa, attribuibile a un 2-3% della popolazione infantile europea”.

Vi è capitato che gli adolescenti decidessero ad un certo punto di smettere di prendere questi farmaci?
“Da noi non è mai successo. Anche altrove non capita frequentemente. In un recente studio pubblicato su un’ampia casistica di quasi settemila prese in carico dalla clinica di Amsterdam è stato riportato come solo lo 0.5% abbia deciso di sospendere il trattamento”.

E se si interrompe cosa succede?
“Questo approccio è totalmente reversibile: in qualunque momento si decida di interrompere la terapia, la pubertà riprenderà nella direzione del genere assegnato alla nascita. Si tenga presente che la possibilità di sospendere la terapia è proprio uno degli esiti previsti e discussi insieme, ancora prima di iniziare. Non si tratta pertanto di un pentimento, ma piuttosto significa che il tempo avuto a disposizione in più per esplorare la propria identità di genere è stato utile e necessario per raggiungere una maggior consapevolezza”.

Poi quali sono gli altri scenari possibili?
“Dipende dal singolo caso. Talvolta può essere necessario per il benessere psicologico dell’adolescente procedere con una terapia ormonale (gender affirming hormone therapy, GAHT) che modifichi il corpo in modo congruente con l’identità di genere. Alcuni di questi adolescenti poi, una volta diventati maggiorenni, potrebbero anche decidere di intraprendere un percorso di transizione chirurgica (di “cambio di sesso”), proprio come hanno fatto le gemelle di cui si parlava sopra”.

Che obiettivo ha la terapia ormonale?
“La terapia ormonale che viene prescritta alle persone transgender non è uguale per tutte le persone, ma deve essere individualizzata in base alle esigenze e allo stato di salute del singolo.  Il suo obiettivo è quello di affermare il genere percepito dalla persona e di conseguenza di modificare il corpo in quella direzione. Solitamente la terapia ormonale mascolinizzante per i ragazzi transgender prevede la somministrazione di testosterone che causa l’abbassamento del tone della voce, la crescita di peli sul viso e sul corpo. Per le ragazze trans la terapia ormonale femminilizzante include sia estrogeni che anti-androgeni. Gli ormoni servono anche per mantenere le modificazioni dopo un eventuale intervento chirurgico”.

La terapia ormonale può essere interrotta?
“Sì, ma gli effetti sono reversibili solo parzialmente”.

Con che frequenza vi capita di autorizzare una terapia ormonale?
“Nella nostra casistica tutti gli adolescenti a cui sono stati inizialmente somministrati i bloccanti hanno poi continuato con gli ormoni, ovviamente una volta valutato che fosse stata raggiunta la maturità cognitiva per prendere tale decisione”.

C’è un età minima per iniziare la terapia ormonale?
“Le linee guida più che indicare un’età anagrafica per iniziare la terapia ormonale raccomandano che sia stata raggiunta una maturità cognitiva sufficiente a comprendere che gli effetti del trattamento sono reversibili solo parzialmente. Questa maturità in genere avviene all’età di 16 anni, ma può essere raggiunta anche dopo o prima. Esistono poi dei criteri che devono essere soddisfatti per poter accedere al trattamento ormonale, come raccomandato dalle linee guida internazionali, nonché secondo un recente Position Statement nazionale della Società Italiana Genere Identità e Salute (SIGIS), della Società italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità (SIAMS) e della Società Italiana di Endocrinologia (SIE).”

Tutti gli adolescenti che prendono gli ormoni poi si sottopongono ad interventi di affermazione chirurgica del genere?
“Prima di tutto chiariamo che gli interventi non sono raccomandati sui minorenni. E comunque non tutti desiderano fare questo percorso. I dati recentemente pubblicati dal nostro gruppo su una casistica nazionale indicano come per il 10% delle persone sia sufficiente ottenere la rettifica anagrafica ed effettuare la terapia ormonale di affermazione di genere, senza procedere alla chirurgia”.

Concretamente, cosa comporta l’intervento chirurgico?
“I percorsi chirurgici del percorso di affermazione di genere includono la chirurgia ricostruttiva del torace per gli uomini trans o la mastoplastica additiva per le donne trans. Più la chirurgia genitale sia per gli uomini che per le donne trans. Le giovani donne trans possono desiderare altri interventi femminilizzanti, come ad esempio la riduzione del pomo d’Adamo, l’epilazione definitiva o gli interventi chirurgici di femminilizzazione del volto. Non tutti gli individui trans o gender-diverse scelgono quella che viene chiamata “transizione completa”, che include tutti gli step sopra menzionati: ormoni, interventi chirurgici al torace e ai genitali”.