La guerra e i tanti volti dei bambini: dove porre il limite

C’è Polina, la bambina ucraina con il ciuffo rosa; poi Aylan, il piccolo siriano morto sulla spiaggia, simbolo della tragedia dei migranti. O, tornando agli anni Sessanta, Kim Phuc, la protagonista della foto-simbolo della guerra nel Vietnam. Sono tanti, tantissimi, i volti disperati dei bambini in televisione, sui giornali e sui social network. Fino a che punto è giusto mostrare le loro foto? Dove finisce il diritto di cronaca ed inizia quello alla privacy? Ne abbiamo parlato con Carla Garlatti, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza

Tra le prime immagine che hanno raccontato la guerra in Ucraina c’è quella di Polina, una bambina di dieci anni, bellissima, sorridente, con un lungo ciuffo di capelli rosa come zucchero filato, sterminata con il fratellino Semyon di cinque anni e tutta la sua famiglia. Il ciuffo rosa dei capelli è orami diventato il simbolo del dramma dei bambini nella guerra innescata da Mosca. Alcuni quotidiani nazionali hanno dedicato le prime pagine alla sua foto.

Aylan

Ma sono tanti, tantissimi, i volti disperati dei bambini in televisione, sui giornali e sui social network. Bambini che camminano da soli, che dormono in stazione, che cantano nei bunker, che salutano il padre al confine.

Non è una novità, comunque. Vengono in mente anche le foto delle due gemelline sottratte dal padre e poi ritrovate in fondo al mare a Tenerife; quella di Aylan, il piccolo siriano morto sulla spiaggia nel 2015, simbolo della tragedia dei migranti. O, tornando, indietro Kim Phuc, la protagonista della foto-simbolo della guerra nel Vietnam (1965).

Fino a che punto è giusto mostrare le loro foto? Dove finisce il diritto di cronaca ed inizia quello alla privacy? Ne abbiamo parlato con Carla Garlatti, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza.