Julia Gromskaya è nata a Kharkov nel 1980, quando era ancora Russia. Poi è diventata ucraina. Oggi è cittadina italiana. Dalla provincia di Ancona, dove lavora come illustratrice, osserva le tragedie che stanno attraversando il suo paese. «Da persona nata russa e diventata prima ucraina e poi italiana – spiega- fatico a capire milioni di persone che parlano e giudicano come se sapessero da sempre la storia del mio paese. Fatico io a capire la storia recente del mio paese, ci vorrebbe un po’ d’umiltà e di umanità. La guerra vista in poltrona porta le persone a parlare di odio, di armi da inviare».
Julia ci racconti la tua storia?
Sono nata a Kharkov, in Unione Sovietica. Ma era Russia a tutti gli effetti. Io e il milione e mezzo di abitanti della città abbiamo sempre parlato russo, eravamo di cultura russa. Dopo la disgregazione dell’URSS la mia città e i suoi abitanti sono diventati ucraini. Sul momento non ci abbiamo visto nulla di male, ci sembrava un cambiamento figlio della storia. Poi di cambiamenti ce ne sono stati molti altri, alcuni radicali: il russo è stato cancellato dalle scuole, dai film, dalla televisione. Sono stati cambiati i nomi delle persone, delle città e delle cose. Onestamente questo non riuscivo a capirlo.
Come avete vissuto quel cambiamento?
Siamo andati avanti e in famiglia e in città abbiamo continuato a parlare in russo e a chiamarci con i nomi con cui siamo nati e siamo stati battezzati, non c’era motivo per fare il contrario. Kharkov è praticamente una città di confine e siamo sempre stati in buoni rapporti con la Russia. Poi nel 2004 c’è stata la rivoluzione arancione, vi ho preso parte, così come gran parte dei giovani. C’erano concerti di artisti famosi, un clima molto bello, gioioso. Sognavamo un ulteriore cambiamento che ci avvicinasse ancora di più all’occidente. Non molto tempo dopo mi sono trasferita in Italia, sono diventata cittadina italiana. Ed è cominciata una storia nuova. Oggi vivo nelle Marche, a Pergola, insieme al mio compagno Simone Massi e ai nostri tre figli.