«Non sempre, purtroppo, c’è una cura che guarisce, ma esistono per fortuna altre cure che non sono mediche. Sono le cure del cuore, dell’ascolto, dell’affetto o della semplice misura della cortesia personale: una parola, una carezza, una mano sfiorata». Lo sa bene Giada Lonati, medica palliativista, e direttrice sociosanitaria di VIDAS. Il suo lavoro consiste nel lenire l’inevitabile sofferenza che accompagna il tempo del morire e nell’accompagnare i morenti nel tratto ultimo della vita, a cui spesso resta, come unica possibilità, proprio quella di vivere con pienezza il presente di un orizzonte che si assottiglia sempre di più.
Le persone che incontra portano con sé il segno di una diagnosi di una malattia inguaribile, si sono già scontrate con l’impossibilità di un intervento chirurgico risolutivo e hanno fatto esperienza dell’inefficacia dei trattamenti proposti. Arrivano all’incontro con la fine della propria vita con delle domande che chiamano in gioco il senso profondo del vivere. Alcuni cercano di ristabilire contatti, prima che cali la notte: «C’è chi muore portandosi dietro rabbia e rancore ma spesso intravvedere la morte consente proprio di chiudere sospesi, di ricucire rapporti, di perdonarsi vicendevolmente». Altri si domandano che senso abbia la propria esistenza. «Chi sono io che fino a ieri avevo in mano il mondo e oggi attendo con pazienza che qualcuno mi cambi il pannolone? Qual è l’essenza che fa sì che io resti me stessa, continui a riconoscermi per quella che ero anche oggi che guardo il mondo da una finestra? Quanto può adattarsi un essere umano prima di giudicare intollerabile, indegna, irriconoscibile l’esperienza di vita che sta vivendo?».
Da oltre venticinque anni Lonati si comporta come una esploratrice alla ricerca di quello che accomuna gli esseri umani, quella sorta di essenza a cui proprio non si può rinunciare per sentirsi parte del consesso umano.
«Ogni persona considera la propria vita come buona, dignitosa, accettabile fino ad un certo punto», racconta la medica. «Non sta a noi dire quale sia. Sta a noi invece fare il possibile affinché questo suo sentire sia pienamente rispettato». In pratica, osserva, «sta a noi prenderci cura di lui».