Medicina, chirurgia, scienza ma anche tecnologia si muovono da sempre all’interno di uno stereotipo di genere che ignora, o sminuisce, le donne. Per esempio, le donne sono state escluse per anni dai test scientifici e gli smartphone sono sviluppati in base alla misura delle mani degli uomini. Oggi le cose stanno cambiando, ma non è ancora abbastanza.
Perché nei bagni delle donne c’è sempre la coda e in quelli dei maschi no? Perché i medici spesso non sono in grado di diagnosticare in tempo un infarto in una donna? Perché, negli incidenti stradali, le donne rischiano di piú degli uomini? La risposta a domande così diverse è unica: «In una società costruita a immagine e somiglianza degli uomini, metà della popolazione, quella femminile, viene sistematicamente ignorata. A testimoniarlo, la sconvolgente assenza di dati disponibili sui corpi, le abitudini e i bisogni femminili».
Nel libro “Invisibili” (Einaudi 2020) Caroline Criado Perez fa qualche esempio di come il vuoto di dati di genere abbia creato un pregiudizio pervasivo e latente che ha un riverbero profondo, a volte perfino fatale, sulla vita delle donne. Tra questi: gli smartphone, sviluppati in base alla misura delle mani degli uomini; o la temperatura media degli uffici, tarata sul metabolismo maschile; o, ancora, la ricerca medica, che esclude le donne dai test «per amor di semplificazione».
«Per secoli il ruolo della donna è stato relegato a quello di moglie e madre, un limite che in ambito clinico ha condotto a focalizzare l’attenzione solo sui problemi relativi alla funzionalità riproduttiva. Tutto il resto è stato sempre ritenuto curabile attraverso studi condotti sugli uomini», spiega nel suo libro, “La Medicina delle differenze”, Silvia De Francia, farmacologa clinica, docente all’Università di Torino, divulgatrice scientifica sui temi di medicina e farmacologia genere-specifiche. «Da Ippocrate a Platone, da Galeno a Vesalio e, incredibilmente fino alla fine del secolo scorso, la donna è stata considerata un uomo di dimensioni inferiori e quindi non meritevole di attenzione specifica. Oggi sembra naturale che donne e uomini, in parte diversi per anatomia e fisiologia, siano oggetto di cure specifiche quando si ammalano. E invece fino alla fine del ‘900 non è stato così».
La medicina di genere
Come spiega Giovannella Baggio, studiosa senior all’Università di Padova dove, dal 2012 al 2017, ha tenuto la prima Cattedra di Medicina di Genere in Italia, « fino a qualche anno fa, la medicina ha manifestato una “cecità” rispetto al genere, poiché la ricerca veniva principalmente condotta su soggetti di sesso maschile con l’estensione dei risultati alle donne, assumendo che l’innegabile diversità biologica non avesse ripercussioni significative sulle malattie». Negli ultimi 20 anni, invece, «grazie alla nascita della medicina di genere, abbiamo scoperto che uomini e donne manifestano i sintomi delle stesse malattie in modo differente, e che, quindi, hanno bisogno di strategie diagnostiche diverse, rispondendo in modo diverso ai farmaci.
«La farmacologia e la medicina di genere sono una novità», rincalza Silvia De Francia. «Un primo approccio in Italia nasce nel 2016, si concretizza nella legge 3/2018 ed entra in vigore con il Piano per l’applicazione della medicina di genere nel 2019. C’è ancora molto da fare».
La medicina e il diritto si stanno adeguando, anche se lentamente, per garantire a ciascuno un trattamento equo, ossia tarato sui dati soggettivi che ciascun individuo porta con sé dalla nascita. «In questo momento storico si sta rivelando importante studiare l’efficacia dei farmaci e dei vaccini contro il covid 19 considerando, rispettando e valorizzando le differenze presenti nel genere maschile e in quello femminile», chiarisce Baggio, che è anche la residente del Centro Studi Nazionale su Salute e Medicina di Genere, realtà che si occupa di capire come le differenze biologiche tra uomini e donne influenzino più o meno fortemente il loro stato di salute e di malattia.
Meglio le chirurghe per le pazienti donne
Nel gennaio 2022 il Guardian ha dedicato un importante articolo alla medicina di genere, citando un nuovo studio, piuttosto scioccante, che ha scoperto che le donne operate da chirurghi hanno il 15% di probabilità in più di avere un esito negativo e il 32% di probabilità di morire in più rispetto alle donne operate da chirurghe. Lo studio è stato pubblicato a dicembre 2021 sulla rivista medica JAMA Surgery e include dati su più di un milione di pazienti. Lo studio include procedure condotte da 3.000 chirurghi, guarda il sesso del paziente, il sesso del chirurgo, il tasso di decessi, le riammissioni in ospedale e le complicanze entro 30 giorni. I pazienti maschi hanno avuto risultati simili sia che chi operava fosse maschio o femmina, ma le pazienti femmine hanno avuto risultati significativamente differenti. «Questi risultati sono preoccupanti perché non dovrebbe esserci alcuna differenza di sesso nei risultati, indipendentemente dal sesso di chi opera”, ha dichiarato la dottoressa Angela Jerath, epidemiologa clinica presso l’Università di Toronto e coautrice dello studio. Jerath e il suo team ha studiato i registri dell’Ontario tra il 2007 e il 2019: tutto, dagli interventi chirurgici di routine, come la rimozione della cistifellea, a operazioni più complicate, come aneurismi e bypass cardiaci. Jerath ipotizza che possa avere influito sia il fatto che la medicina si è costruita privilegiando la conoscenza del corpo maschile e trascurando quella del corpo femminile (immaginato come simile nei sintomi e nelle reazioni) sia le differenze tra medici maschi e femmine nello stile di lavoro e nelle scelte che influiscono sulla qualità dell’assistenza che le donne ricevono.
La presenza delle donne sta cambiando la scienza
«Il fatto che oggi ci siano un numero più consistente di donne nel mondo scientifico sta cambiando il modo in cui la scienza viene fatta», scrive Angela Saini nel suo saggio, “Inferiori. Come la scienza ha penalizzato le donne” (HarperCollins 2019). «La scienza non è in grado di fornire risposte neutrali a proposito del funzionamento del corpo e del cervello delle donne, perché quasi tutto il corpus medico e scientifico è stato prodotto proprio da quelli scienziati (uomini) che credevano che le donne fossero non solo diverse, ma anche inferiori. Gli stessi uomini che fino al XX secolo hanno tenuto fuori le donne dalle università; gli stessi che hanno negato i loro risultati», come nel caso di Marie Curie nel 1911, e della fisica Lise Meitner nel 1944.
«Per centinaia di anni le donne sono state considerate il sesso inferiore. I loro corpi e le loro menti più deboli, il loro ruolo asservito. Perfino Charles Darwin affermava che le donne erano a uno stadio inferiore dell’evoluzione. La scienza ha continuato a dirci che uomini e donne sono fondamentalmente diversi. I biologi sostengono che le donne sono più adatte a crescere le famiglie o sono, più gentilmente, soltanto empatiche. Gli uomini, d’altra parte, sono descritti come eccellenti in compiti che richiedono ragionamento logico e spaziale e abilità motorie. Oggi, aggiunge, «vengono poste domande che non erano mai state poste prima, con la conseguenza che le vecchie idee si stanno sgretolando davanti a quelle nuove. Un’ondata di nuove ricerche sta ora portando alla luce una versione alternativa rispetto a ciò che pensavamo di sapere».
«Credo sia importante contrastare il gender data gap per due motivi», conclude De Francia. Prima di tutto perché per troppo tempo ed in troppi ambiti abbiamo agito in modo cieco, discriminante, parziale rispetto alla realtà vera. Credo, dunque, sia venuta ora di fare giustizia e di agire in modo davvero democratico. Una sorta di risarcimento per il passato. E poi per una questione che riguarda l’attenzione alle generazioni future. Bisogna costruire oggi un futuro aperto ed inclusivo, lontano dalle discriminazioni, centrato sulla valorizzazione delle differenze».