Sessismo in azienda, quando il lavoro è molesto

In fabbrica come al cinema, nelle aziende come negli studi privati, in agricoltura come nel commercio e nella pubblica amministrazione, le vittime di molestie e ricatti sessuali sono soprattutto donne e gli aggressori soprattutto uomini: si tratta di un dato su cui tutti gli studi concordano. Anche quando si parla di molestie sul luogo di lavoro.

Il caso recente delle chat sessiste che prima dell’estate ha coinvolto un’agenzia di pubblicità di Milano è solo l’ultimo esempio di un fenomeno poco conosciuto. Eppure, i numeri fanno impressione. Secondo un dato Istat del 2018 (non ne esistono di più aggiornati) sono 1 milione e 404mila le donne tra 15 e 65 anni che hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul luogo di lavoro da parte di un collega o di un superiore. Rappresentano quasi il nove per cento delle lavoratrici attuali o passate.

Molestie al lavoro

Il 7,5 per cento delle donne ha subito un ricatto sessuale per ottenere un lavoro, per mantenerlo o per ottenere progressioni nella loro carriera.Come conseguenza, una donna su tre ha cambiato volontariamente lavoro o ha rinunciato alla carriera. «Non esiste una definizione univoca di “molestia” sul lavoro» osserva Marta Giaconi, giuslavorista dell’Università di Milano Bicocca.

«Nell’elenco potrebbero rientrare i casi più gravi di violenza fisica, i palpeggiamenti, le aggressioni, i tentativi di accarezzare e baciare la donna contro la sua volontà, ma anche i commenti verbali, le telefonate oscene, le frasi umilianti, le battute a sfondo sessuale e qualsiasi comportamento che leda la sua dignità e trasformi il luogo di lavoro in un ambiente intimidatorio, ostile o degradante».

Poche lavoratrici denunciano

«Nonostante l’ampiezza della definizione di molestia» prosegue Giaconi, «le denunce sono infrequenti». Secondo l’Istat la maggior parte delle vittime di ricatti sessuali sul posto di lavoro o di studio ha taciuto e quasi nessuna ha avviato un procedimento giudiziario (meno dell’1 per cento). Un freno alla segnalazione o alla denuncia è spesso rappresentato dal timore, realistico, di non essere credute o di subire ritorsioni, che possono consistere nell’esser messe in ridicolo o considerate come delle rompiscatole, nell’essere emarginate dal gruppo fino a subire bullismo o mobbing da parte del molestatore e dei suoi complici. «Le vittime possono provare paure di vario genere, di ritorsioni, di licenziamenti, oltre a un generico senso di colpa e di vergogna» osserva Ilaria Li Vigni, avvocata penalista e autrice del libro Donne e potere di fare (Franco Angeli). «Inoltre, molto spesso, in presenza di casi di denuncia le aziende cercano informalmente di insabbiare quanto accaduto».

Molestie al lavoro per far capire “chi comanda”

«Spesso lo scopo principale delle molestie non è di ottenere soddisfazione sessuale. Domina invece la volontà di denigrare la donna, di trasformarla in oggetto sessuale negandole lo status di lavoratrice» osserva Patrizia Romito, docente di Psicologia sociale all’Università di Trieste nel libro scritto con Mariachiara Feresin Le molestie sessuali. Riconoscerle, combatterle, prevenirle (Carocci). Le molestie servono così a chiarire chi comanda e chi, pena una punizione, deve restare al suo posto. «In genere sono le donne più vulnerabili a subire molestie: soprattutto le operaie immigrate nell’agricoltura, come raccontato nel bel libro di Stefania Prandi, Oro rosso. Fragole, pomodori, molestie e sfruttamento nel Mediterraneo (Settenove)».